Anche il ratto, mammifero evolutivamente distante e cognitivamente assai meno evoluto dell’uomo, sembra capace di empatia. Questo è il sorprendente risultato di una ricerca condotta all’Università di Parma e appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Psychoneuroendocrinology.Lo studio è il frutto della collaborazione di tre gruppi di ricerca del nostro ateneo: uno coordinato dal prof. Andrea Sgoifo (Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale), uno dal prof. Pierfrancesco Ferrari (Dipartimento di Medicina e Chirurgia) e il terzo dal prof. Marco Mor (Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco).Il primo autore dell’articolo è il dott. Luca Carnevali, ex studente triennale, magistrale e di dottorato del nostro Ateneo, attualmente in forze al laboratorio di Fisiologia dello Stress del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale). Un contributo prezioso allo studio è stato fornito anche da Rosario Statello (Dottorando in Neuroscienze), Silvia Rivara e Federica Vacondio (Professori associati del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco.I ricercatori hanno rilevato che, per un ratto maschio, la coabitazione con un coetaneo familiare sottoposto a stress sociale (in particolare, ad aggressione e subordinazione da parte di un terzo animale non familiare) provoca un’attivazione comportamentale e fisiologica che svela la presenza di un contagio emozionale, una condizione che richiama da vicino la condivisione empatica.Già in precedenza era stato dimostrato che i roditori sono in grado di condividere stati di paura e di stress provati da individui della stessa specie. Si ritiene che questa capacità metta l’individuo che assiste alla paura e allo stress dell’altro nelle condizioni di rispondere più appropriatamente alle minacce dell’ambiente ed è considerata il fondamento dell’empatia, nella quale l’emozione provata direttamente da un individuo attiva uno stato emozionale analogo nell’osservatore.A dispetto del fatto che questa capacità sia stata a lungo considerata esclusiva della specie umana, studi su primati non umani e più di recente sui roditori hanno rivelato che alcune forme di empatia – come il contagio emozionale – sono diffuse nel regno animale. Nello studio condotto dai ricercatori parmigiani, l’evidenza di questo contagio è arrivata tanto da misure comportamentali quanto da parametri fisiologici, e questo rappresenta la vera forza e novità della ricerca. Infatti, la sola coabitazione con un consimile familiare che subiva una serie di esperienze sociali avverse (alle quali, peraltro, l’animale sotto studio non aveva nemmeno presenziato) produceva un comportamento ansioso e sensibili attivazioni delle funzioni cardiaca e ormonale. In altre parole, la condizione di stress acuto manifestata da un animale al rientro da una combattimento con esito sfavorevole produceva nel suo co-inquilino un alto grado di immedesimazione emozionale, come inequivocabilmente svelato da tachicardia, alti livelli di corticosterone circolante ed ansia sociale.